DOMANDA
Gentile dottore,
mia mamma, settantenne, soffriva da tempo di mal di schiena. L’anno scorso ha deciso di indagare meglio la patologia.
La diagnosi è stata:
stenosi foramidale in L3-L4 bilaterale, insufficienza monosegmentale in L3-L4, instabilità in L4-L5, pz abesa in quadro di lombalgia ingravescente e claudicatio resistente a terapia farmacologica.
Nel dicembre scorso si è sottoposta a un intervento definito banale dal neurochirurgo.
Con tecnica microchirurgica, è’ stata eseguita foraminotomia bilaterale in L3-L4, posizionato DIAM in L3-L4, effettuata artrodesi mediante COFLEX-F in L4-L5.
All’inizio l’intervento sembrava riuscito e la mamma, contenta del risultato, si era messa a dieta e a fare esercizio.
Appoggiandosi alla carrozzina di mia figlia, riusciva a camminare per alcuni chilometri, senza alcun dolore.
Con il tempo c’è stato un peggioramento e i risultati inizialmente ottenuti sono scomparsi, portando ad una situazione peggiore rispetto a prima dell’intervento.
Ora il chirurgo propone di togliere gli impianti e di eliminare la stenosi mediante limatura ossea. Al momento, la mamma è meno fiduciosa e teme anzi che l’intervento comporti dei rischi (un conoscente, si è operato alla schiena ed è rimasto paralizzato, ma ignoriamo il tipo di intervento ).
Chiediamo il suo parere su l’intervento proposto e i rischi e se un fisiatra potrebbe portare benefici.
Speranzosi di una sua risposta, salutiamo.
RISPOSTA
Caro lettore
l’intervento eseguito (posizionamento di un distanziatore interspinoso) poteva avere senso nella speranza di un successo che almeno nel 50% dei casi trattati è di lunga durata. Se non ha avuto beneficio è evidente che la correzione della stenosi prevede l’allargamento del canale ed eventualmente il posizionamento di mezzi di sintesi per stabilizzare la colonna qualora alle prove dinamiche si dimostrasse una vera instabilità.
Unica alternativa non chirurgica è la terapia del, dolore
Distinti saluti
Paolo Gaetani