Belonefobia o timore degli aghi e siringhe

    DOMANDA

    Buon giorno dottore, le scrivo poichè soffro di Belonefobia e avrei desiderio di una maternità, tuttavia sono bloccata dalle analisi che bisogna fare con gli aghi.
    Ho fatto solamente una volta le analisi del sangue, ed erano per la pillola anticoncezionale, è stato un disastro. Già prima di entare avevo sudorazione e tachicardia, successivamente ho avuto un attacco di panico con inizo di iperventilazione e quando il medico si è avvicinato per fare il prelievo l’ho “aggreddito” e per effettuare le analisi sono stati costretti a chiamare due infermieri che mi tenesserò il braccio e un altro che mi tenesse ferma, tutto questo mentre continuavo a urlare.
    Ora, so che può sembrare esagerato ma questa fobia mi perseguita fin da piccola e ora blocca una mia possibile maternità.
    Come posso fare per sconfigerla?
    perchè mi rendo conto che in quei momenti sono un pericolo per me stessa ma anche per gli altri!
    Grazie per l’attenzione,
    cordiali saluti Antonella

    RISPOSTA


    Gentile Antonella,

    la sua paura, quella degli aghi per intenderci che prende il nome di belonefobia o aicmofobia, é alquanto presente fra i pazienti sofferenti di fobie specifiche. Rappresenta un timore persistente e ingiustificato di aghi/spilli come pure di forbici, coltelli ed altri oggetti acuminati.

    Molto spesso si associa, per forza di cose, anche al timore del sangue (emofobia) o delle ferite (traumatofobia).

    E’ umano avere timore di essere feriti o sentirsi minacciati da qualcuno che ci viene incontro con un oggetto acuminato. E’ una reazione assolutamente normale e protettiva.

    Tutto cio’ diviene un problema quando, nel corso della vita, sono necessarie analisi cliniche o cure che devono essere gestite tramite gli aghi (siringhe, flebo etc).
    Diagnosi e terapie che potrebbero salvarci la vita o prevenire problemi di salute in futuro.

    Sul perché queste paure siano presenti ci sono diverse teorie che non posso qui esporre nel dettaglio ma che hanno a che vedere con un “apprendimento della paura” dato da episodi vissuti direttamente o meno riguardo l’oggetto in questione, come pure la sensazione presente nei pazienti fobici, di “non farcela a sopportare la situazione”.

    Piu’ importante penso sia per lei il fatto che uscire da questa problematica sia possibile con una terapia psicologica che miri, non a cercare unicamente le cause, ma a permetterle di affrontare le situazioni che ora evita.

    Ancora piu’ importante, che la terapia le faccia comprendere che anche lei, come tutti, puo’ superare il disagio/timore/dolore di un ago nel braccio.

    Personalmente, per mia esperienza clinica, le consiglio una terapia breve e che si basi su un protocollo di esposizione graduale, dapprima ai pensieri che la portano ad evitare e rinforzare la fuga dalla situazione fobica, e successivamente agli aghi stessi.

    Il trattamento cognitivo-comportamentale delle fobie è relativamente semplice, se non complicato da altri disturbi e prevede un percorso di breve durata (spesso entro i 3-4 mesi).

    Verra’ avvicinata in modo molto progressivo a cio’ che innesca la sua paura, partendo ad esempio come faccio solitamente, da una immagine di una siringa, per poi giungere a filmati ed a simulazioni mediante l’uso delle nuove tecnologie sino a che il contatto con queste stimolazioni non porti ad una sorta di “abitudine” .

    In grado cioe’, di non generare piu’ gli stati d’ansia che mi ha descritto. Solo a tal punto si procede all’esposizione a stimoli piu’ reali. Questo modo di procedure potrà ora spaventarla, perche’ implica l’affrontare una situazione che ora le sembra impossibile da superare, ma quando effettuata, puo’ portare ad uscire dal suo problema.

    In alcuni casi è utile affiancare anche una eventuale terapia farmacologica, ma sconsiglio di fare uso unicamente di questo approccio. Questo, in quanto potrebbe avere un temporaneo abbassamento degli stati d’ansia ma non saprebbe mai come affrontare autonomamente il suo problema senza l’aiuto dei farmaci e soprattutto, darebbe il merito principalmente ad essi.

    Con una terapia cognitivo-comportamentale imparera’ ad affrontare anche i sintomi che mi ha descritto (tachicardia, sudorazione, desiderio di fuga etc)e che sono comuni in tutte le persone che come lei soffrono di questo timore.

    Pertanto, le consiglio una psicoterapia di tipo cognitivo-comportamentale o comunque una psicoterapia breve e strutturata con obiettivi chiari e che la portino a lavorare sul presente e sull’affrontare gradualmente ma apertamente e nel mondo reale, cio’ che ora lei teme.



    Le auguro buona vita.


    Emanuel Mian