DOMANDA
Gentile dottore, sono una ragazza di 23 anni e da quasi 5 anni sto con un ragazzo… stiamo molto bene insieme tanto che abbiamo preso casa. Però mi affligge un problema: lui è molto infelice del suo attuale lavoro. Lavora con i suoi genitori nella ditta di famiglia da 3 anni. Da 2 però avverte questa insoddisfazione…inizialmente era un po’ di malumore ma la questione sta peggiorando… spesso durante il mese ha delle “crisi”, si chiude molto (già ha un carattere molto chiuso) e riesce a parlarne solo a me, magari piange. Ha provato a fare altri colloqui però non riesce nemmeno a parlare ai suoi genitori e metterli al corrente del suo malessere; diciamo che non trova il coraggio, quindi alla fine va sempre a lavorare li. Si sfoga solo con me… Non riesce a prendere una decisione e sta sempre peggio. Pensavo di portarlo da uno psicologo…lei che ne pensa? In attesa le porgo i miei saluti
RISPOSTA
I rapporti tra genitori e figli sono generalmente indirizzati alla crescita dei figli fino a quando sono diventati autonomi. Sembra che l’attrito tra un genitore e il figlio che sta diventando adulto costituisca un incentivo affinche’ il figlio lasci la casa per farsene una propria. In molte culture alla finalita’ educativa si aggiungono altre componenti di natura sociale-economica, come la garanzia di una assistenza nella vecchiaia, e quindi il mantenimento del figlio (figlia) in casa. Un particolare versione di questa tendenza e’ l’azienda di famiglia, che vede in questa forma di attivita’ economica un buon compromesso tra desiderio dei genitori di una prosperita’ anche nell’eta’ avanzata, e nell’interesse dei figli nel non partire da zero nella costruzione del loro futuro. Purtroppo l’attrito genitore figlio non viene sempre risolto da questo compromesso: la differenze di vedute possono essere essenziali, cioe’ riguardare aspetti di fondo nel modo di concepire il senso della vita, del lavoro e dei rapporti umani, e quindi non possono essere superate con soluzioni superficiali. Solo il raggiungimento di una notevole maturita’ psicologica permette di “capire” da un lato le varie facce del problema (fare una buona diagnosi del comportamento dell’altro, il genitore ma anche il figlio) e dall’altro lato di “superare” le istintive reazioni di difesa (capacita’ di controllare le proprie emozioni). tra l’altro questa maturita’ e’ richiesta in tutti i casi in cui il rapporto personale con gli altri sia critico (per esempio in campo professionale).
E’ naturale che da un lato si sivluppino reazioni emotive sempre piu’ negative verso la persona che manifesti atteggiamenti “insopportabili” se non si interviene con qualche presa di posizione, e d’altro lato il senso di impotenza che puo’ accompagnare queste reazioni emotive puo’ condurre a una progressiva depressione, se non vi si pone un rimedio. Per questo motivo lei ha ragione nel ritenere che sia molto utile un aiuto esterno per il suo ragazzo, e soprattutto che arrivi in tempo utile, per superare la crisi. Ma e’ altrettanto necessario che il suo ragazzo senta che un aiuto competente lo puo’ effettivamente aiutare: senza questa personale convinzione, che racchiude in se’ un implicito desiderio di venirene fuori, non ci sono molte speranze. Il distacco fisico puo’ “forse” aiutare, ma dovrebbe comunque essere accompagnato dalla convinzione di avere scelto autonomamente la soluzione giusta.
L’aiuto psicologico dovrebbe essere percepito come una soluzione “tecnica” che non intacca i valori positivi di fondo che normalmente caratterizzano i rapporti interpersonali genitori figli. La soluzione del conflitto non puo’ che far bene a tutti. Aiuta molto escogitare varie soluzioni alternative, perche’ portano a scoprire i pro e i contro di ciascuna soluzione e infine alla scelta della migliore. Quindi aiuti il suo ragazzo ad avere fiducia che, con l’aiuto della persona giusta, puo’ riprendere possesso di se stesso e agire autonomamente. La soluzione e’ possibile, basta che lo voglia.