DOMANDA
Gentile Professore Osvaldo Da Pos,
è ormai da tempo che mi chiedo se soffro di sinestesia.
Ho la necessità di associare ogni cosa che leggo o faccio a una immagine o a dei colori, altrimenti non ricordo nulla.
Non vedo colori e non assaporo suoni, ma ricollego colori e suoni a qualcos’altro,
processo che avviene in automatico. A volte credo anche di vedere cose che non ci sono.
RISPOSTA
La sua domanda sulla sinestesia è molto interessante, tocca un tema di studio che molti ricercatori oggi trattano da vari punti di vista. Innanzitutto due precisazioni importanti: non si tratta di una malattia, né di un limite alle nostre capacità percettive, semmai è vero il contrario; inoltre la sinestesia, nella sua forma originale, è una peculiarità di poche persone. Per capire che cosa si intende per sinestesia bisogna premettere una nozione fondamentale che distingue la percezione da sogni e allucinazioni: tutte le nostre percezioni hanno origine nei recettori specifici, periferici: coni e bastoncelli nella retina per la visione, cellule cigliate della coclea per l’udito, cellule ciliate nel naso per l’olfatto, cellule di varia natura nella pelle per il tatto, gemme gustative nella bocca per il gusto. Quando uno stimolo specifico, per esempio una vibrazione meccanica delle cellule cigliate dell’orecchio, stimola l’apparto uditivo, si innesca una serie di reazioni biochimiche ed elettriche nei neuroni collegati che arrivano ad attivare vari centri nervosi della corteccia cerebrale, il cui esito percettivo è appunto la percezione di un suono o rumore. Si parla di percezione quando è attivata da uno stimolo fisico esterno all’apparato; quando invece si sente o si vede qualche cosa senza che vi sia questo stimolo, si tratta di allucinazione, o sogno se avviene nel sonno (in questi casi la ‘stimolazione’ è di origine cerebrale). La differenza tra allucinazione e percezione non è percettibile, cioè una persona non si accorge se si tratta di allucinazione o percezione, in quanto queste si confondono, a meno che non si faccia una analisi ‘esterna’ (controllo sperimentale della presenza degli stimoli specifici). Generalmente i vari tipi di percezione si distinguono in cinque (certamente di più) categorie, in base all’anatomia e fisiologia dei recettori (vista, udito, tatto, olfatto, gusto). Me se si descrivono le diverse tipologie di percezione che possiamo avere in base delle loro caratteristiche ‘apparenti’ (cioè come ci appaiono), la categorie sono molto più numerose e meglio caratterizzate (non solo tatto, ma pressione, vibrazione, caldo, freddo, bagnato ecc. solo per quelle percezioni che interessano la pelle). Sembra che inizialmente, appena nati, quando il cervello non si è ancora pienamente organizzato, si diano alcuni tipi di percezione (per esempio visiva) quando recettori molto diversi sono stimolati (recettori dell’occhio, dell’orecchio, della pelle …) , in quanto l’attività neurale che dagli organi periferici va al cervello confluisce in aree corticali ‘comuni’, non ancora specializzate. Di conseguenza la caratteristica fenomenica (il tipo qualitativo di percezione, per esempio visiva piuttosto che uditiva) dipende da quali aree cerebrali sono attivate e non dall’origine della stimolazione. Questo comporta ovviamente che radiazioni elettromagnetiche (che attivano l’occhio) e vibrazioni meccaniche (che attivano l’orecchio) diano origine allo stesso tipo di percezione se l’attività neurale finale interessa in entrambi i casi la stessa area cerebrale. Se si tratta di un’area visiva, si vedranno delle luci, se si tratta di un’area uditiva si sentiranno dei suoni. Generalmente la specializzazione delle aree corticali (il fatto che ogni area sia attivata solo da una sorgente di stimolazione periferica e produca una solo tipo di percezione) richiede del tempo. Questa confusione tra stimoli di origine diversa e unico tipo di percezione corrispondente si perde con la maturazione del cervello. Tuttavia, per fortuna, si sono trovati casi interessantissimi (Paul Bach-y-Rita) in cui aree diverse del cervello, che quindi danno origine a percezioni di tipo diverso, possono essere collegate tra loro in modo tale che quando una è normalmente attivata da una determinata sorgente di stimoli (per esempio retinici) si veda una luce colorata, ma contemporaneamente si possa udire un suono poiché l’attivazione dell’area visiva si estenda anche all’area uditiva. I risultato è ovviamente che una radiazione elettromagnetica che attiva l’occhio e quindi un’area corticale visiva, attiva anche una seconda area corticale (per es. uditiva), con la conseguente caratterizzazione percettiva di suono. In questo casi si parla di sinestesia: uno stesso stimolo origina percezioni diverse, sia visive che uditive. La situazione studiata e utilizzata da Bach-y-rita consisteva nello stimolare aree diverse della pelle (nella schiena; altri ricercatori poi nella lingua, mano, dita ecc.) mediante cilindretti la cui pressione era governata da una telecamera: aree chiare potevano corrispondere ad alta pressione, aree scure a bassa pressione. La persona così stimolata sente inizialmente soltanto pressioni diverse sulla pelle, ma quando viene ripreso dalla telecamera un oggetto in movimento, al soggetto pare di ‘vedere’ un oggetto che si muove. Qualche cosa di simile accade nelle persone sinestetiche: la visione di un colore è accompagnata dalla percezione di un suono (o comunque altri accoppiamenti). Oltre ad una sinestesia in senso stretto come qui descritto, ve ne sono altre più ‘deboli’, dove la percezione di un suono (per esempio) non è accompagnata dalla percezione di una luce, ma è in qualche modo ‘associata’ a quella seconda percezione. Per esempio Vasilij Kandinskij afferma che la percezione di un triangolo è naturalmente associata al colore giallo: se si chiede a un gran numero di persone di dire quale colore sia associato al triangolo, si troverà che un gran numero di persone sceglieranno il giallo, e poiché la percentuale di queste risposte è molto alta, si ritiene che la risposta non sia data a caso: cioè l’associazione giallo – triangolo è fondata su qualche caratteristica fondamentale del sistema percettivo. Se invece, come sembrerebbe il suo caso, ‘inizialmente’ le associazioni vengono decise dal soggetto stesso (alla sedia un suono, alla chiave un colore, ecc.) non si tratterebbe di sinestesia, sia in senso stretto che debole, ma di una associazione prodotta dalla sua volontà. Quando invece afferma che quelle associazioni avvengono in automatico, può voler dire che ormai le sono diventati abituali, oppure che effettivamente godano di qualche ‘naturalezza’ come nel caso della sinestesia debole. Tecniche per migliorare la memoria fanno largo uso di questo tipo di associazioni. Da notare che quanto più l’associazione voluta si avvicina a quella ‘naturale’ (di natura sinestesica) la memoria ne guadagna di più.