Reazione a scoperta di abusi nell’infanzia

    DOMANDA

    Salve dottore, chiedo gentilmente un consiglio.
    Dopo venti anni che siamo insieme, ho scoperto che mio marito, e suo fratello di un anno più grande, sono stati abusati all’ età, rispettivamente, di sette e otto anni, da uno dei fratelli maggiori, di tredici. La cosa è durata per un certo periodo che mio marito non ha saputo definire. Per anni ha rimosso, dice di aver consapevolmente cercato di dimenticare, perché, quando la cosa gli tornava in mente, lo riempiva di orrore e dolore.
    Nel rievocarlo parlando con me, cosa che è avvenuta per caso e di cui poi si è subito pentito, si è sentito non solo emotivamente, ma fisicamente malissimo. Mai visto in uno stato simile.
    Da piccoli non hanno mai parlato dei fatti per profonda umiliazione e vergogna, soprattutto verso la madre, donna poco affettuosa, rigida e religiosa, molto all’antica.
    Sono passati trent’anni, mi sembra inutile ora riportare fuori la cosa, un’inutile bomba che distruggerebbe tutta la famiglia, ma io la sto vivendo male.
    Ho disgusto verso mio cognato, che ha passato la vita senza relazioni, e che solo ora, a 46 anni, convive sa poco con una ragazza straniera di una ventina di anni, con cui ha avuto un figlio. Ho sempre pensato fosse incapace di avere una relazione con una coetanea, per il carattere difficile, attaccato alla madre, arrogante, presuntuoso. Ho sopportato per anni le sue ingerenze nei rapporti con mio marito. (Es. Con la scusa del lavoro trovava motivo di infastidirci con lamentele inutili anche in vacanza, ogni volta in 20anni; ha sempre voluto dire la sua su decisioni personali come battesimi, educazione dei nostri figli ect.) Pensavo lo facesse per solitudine e per una specie di desiderio di “controllo” sui fratelli minori. Ho sempre osservato, in questi anni, anche con una certa ironia, l’atmosfera di aggressività mascherata e tensione tra fratelli, sempre tenuta sotto controllo per mantenere la famiglia unita, cristianamente solida, come i loro genitori hanno sempre voluto.
    Ora il pensiero di averlo avuto sempre per casa, vicino ai miei figli piccoli, mi disturba. Ho raffreddato i rapporti, senza spiegazioni, e mi sono attirata molte critiche da tutta la famiglia, soprattutto da mia suocera. Provo rabbia anche verso di lei, ingiustificata probabilmente, eppure è così. Sepolcro imbiancato che non è riuscita a vedere cosa si consumava nella sua “santa” famiglia e, soprattutto, incapace di essere una madre che accoglie il dolore dei suoi bambini. Sono ingiusta, piena di amarezza e non dovrei essere così dura nel giudicare…Ma è per farle capire cosa mi passa in testa.
    Anche nell’intimità non mi sento più serena come prima, ma non dico nulla.
    Mio marito non vuole parlarne,reagisce con rabbia se ne parlo io, vuole solo dimenticare, anche perché lavorano insieme, e non vuole fare psicoterapia, io avrei voluto.
    Sembra che il problema sia solo mio. È davvero così? Sto esagerando? Si può parlare di una cosa da “bambini”? Io sono mamma, e non riesco a ritenere un atto sessuale completo di un adolescente su un bambino, come una cosa che può succedere.
    Come posso aiutare mio marito? E, soprattutto, devo aiutarlo o devo lasciare che si difenda così, facendo finta che non sia mai successo?
    Vedo che lui comunque sta facendo di tutto per liberarsi dal controllo di questa famiglia un po’ oppressiva, è una cosa positiva?
    Sono confusa.
    La ringrazio per il suo tempo, buon lavoro.

    RISPOSTA

    Se suo marito sta cercando di liberarsi dal controllo di una famiglia di origine oppressiva sta già facendo delle sforzi utili, che vanno sostenuti, ma senza spingerlo o pressarlo troppo. E’ comprensibile la sua riluttanza e il suo risentimento verso il cognato, anche se non si può affermare che tali atti di abuso compiuti verso i 13 anni significhino automaticamente che anche adesso quest’uomo sia con orientamento pedofilico e/o omosessuale; può senza dubbio essere stato un momento particolare e transitorio in un ragazzino magari isolato e poco socievole.
    Potrebbe essere utile per lei parlarne con uno psicoterapeuta di sua fiducia, non tanto per una psicoterapia vera e propria ma per qualche incontro di sostegno per lei. Questo potrebbe essere ancora più utile a suo marito, ma probabilmente farà resistenza ad affrontare la tematica. Purtroppo il non parlarne mantiene il problema, invece di risolverlo; ma certamente non può essere lei ad assumersi la responsabilità di aiutarlo e sostenerlo, può solo essergli vicina e magari suggerirgli la possibilità di parlare a un esperto, senza però premere affinché lo faccia o affronti l’argomento con lei. Anzi dovrebbe dirgli espressamente che lei non desidera che lui ne parli con lei, ma che pensa che farebbe bene a farlo con un professionista.

    Davide Dettore

    Davide Dettore

    Docente di psicopatologia del comportamento sessuale all’università di Firenze. Laureato in filosofia e in psicologia, è professore associato di psicologia clinica all’università di Firenze, e si occupa in particolare di psicologia e psicopatologia del comportamento sessuale. Dal 1993 è presidente dell’Istituto Miller di Genova, associazione scientifico-professionale di ricerca, formazione e consulenza di psicologia clinica.
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