tumori, radioterapìa dei


    Aggiornato il 14 Dicembre 2015

    trattamento dei tumori mediante l’uso di radiazioni ionizzanti. L’impiego della radioterapia nel trattamento dei tumori si basa sulla possibilità di ottenere la distruzione totale del tumore nella sede di sviluppo, evitando il più possibile alterazioni gravi e irreversibili dei tessuti sani circostanti. L’effetto terapeutico si basa su un’azione selettiva, che induce gradualmente nelle cellule tumorali un danno incompatibile con la sopravvivenza, ma consente alle cellule normali di riprendersi dal danno subito.

     

    La radioterapia esterna

    La radioterapia può essere effettuata secondo varie modalità. Nella radioterapia esterna il fascio di radiazioni, originato da un’apparecchiatura esterna al paziente, viene indirizzato sul tumore attraverso una o più regioni cutanee (dette «porte»); di prevalente impiego sono i raggi X (prodotti dagli apparecchi di roentgenterapia, dagli acceleratori e dai betatroni) e i raggi gamma, generati dalle unità di telecobaltoterapia e telecesioterapia. La roentgenterapia viene oggi impiegata nei tumori che interessano la cute e i tessuti sottocutanei. Con gli altri strumenti vengono utilizzate radiazioni ad alta energia: queste ultime si dimostrano utili per l’irradiazione di masse tumorali localizzate in zone profonde del corpo, in quanto dotate di un elevato potere di penetrazione, risparmiando però sia la cute sia i tessuti sani situati al difuori del raggio d’azione del fascio di radiazioni. Il campo d’impiego è particolarmente allargato alla cura dei linfomi, dei seminomi del testicolo e del carcinoma prostatico e in genere per aggredire voluminose masse neoplastiche viscerali.

     

    La radioterapia interstiziale ed endocavitaria

    La radioterapia interstiziale (o curieterapia) prevede l’infissione di preparati radioattivi in forma di aghi, fili, o semi, nello spessore del tessuto tumorale: ha il vantaggio di consentire l’erogazione di dosi elevate di radiazioni in un piccolo volume e in un tempo relativamente breve. Si ricorre a sorgenti radioattive naturali o artificiali (radio, cesio, ma perlopiù iridio) emittenti raggi gamma: trova indicazione nei tumori che si prestano all’applicazione locale di radiazioni (carcinomi del labbro, della bocca, della lingua, della pelle, della mammella, della vulva, dell’ano). La curieterapia endocavitaria consiste nell’introduzione di preparati radioattivi contenuti in speciali applicatori o in apparecchi appositamente modellati per essere adattati in cavità naturali dell’organismo (vagina, utero). Le fonti emittenti sono le stesse utilizzate per la radioterapia interstiziale.

     

    La radioterapia metabolica

    La radioterapia metabolica prevede l’impiego di sorgenti radioattive artificiali introdotte per via orale o endovenosa. Nella maggior parte dei casi si fa ricorso a radioisotopi per la cura delle metastasi da tumori della tiroide (iodio radioattivo): l’isotopo viene attivamente captato dal tessuto tumorale, esercitando l’azione terapeutica in modo costante anche sui focolai più inaccessibili. La somministrazione intraddominale di radiooro o radiofosforo viene ancora utilizzata in qualche caso, dopo l’intervento chirurgico per tumori delle ovaie, allo scopo di eradicare residui tumorali a livello del peritoneo. Radiofosforo viene somministrato nei pazienti portatori di policitemia vera

     

    Sensibilità dei tumori alla radioterapia

    Nel complesso la radioterapia viene utilizzata nel trattamento di molti tumori, con intento sia palliativo sia curativo, analogamente alle altre modalità terapeutiche di impiego oncologico. I tumori più sensibili al danno indotto da radiazioni sono quelli del sistema linfatico, il seminoma del testicolo, i carcinomi indifferenziati delle prime vie respiratorie e digestive, il sarcoma osseo di Ewing, il basalioma e l’epitelioma cutanei. A questi vanno aggiunti il tumore del corpo dell’utero, il carcinoma mammario, i tumori del grosso intestino e di alcune ghiandole endocrine (ipofisi e tiroide), dell’ovaio e del testicolo; meno sensibili sono i tumori del sistema nervoso, i sarcomi dei tessuti molli, l’osteosarcoma e il melanoma. Va precisato che, oltre al fattore puramente biologico della radiosensibilità, concorrono alla possibilità di curare con la radioterapia un dato tumore anche altri fattori, quali il volume del tumore e la sua vascolarizzazione (i tumori più vascolarizzati sono più ossigenati e quindi più soggetti all’azione delle radiazioni per la produzione facilitata dei radicali liberi), lo stato clinico generale del paziente, la presenza o meno di tessuti sani circostanti, la tolleranza dei tessuti sani irradiati.

     

    La radioterapia palliativa e di complemento chirurgico

    La radioterapìa dei tumori impiegata a scopo palliativo si propone di migliorare la qualità di vita del paziente agendo solo sul sintomo; la riduzione di una massa o di un’infiltrazione tumorale responsabili di sintomi da compressione, occlusione o infiltrazione (per esempio, dispnea da ostruzione bronchiale o dolore da invasione di un nervo o da fratture ossee conseguenti a metastasi) sono comuni obiettivi terapeutici. Come per la chemioterapia oncologica, anche per la radioterapìa dei tumori si può individuare un’area di utilizzazione a scopo precauzionale, col fine di eliminare focolai metastatici residuati dopo un primo intervento terapeutico. È il caso della radioterapia sulla mammella residua dopo interventi di tipo conservativo (tumorectomia o quadrantectomia); nelle stazioni linfatiche regionali, clinicamente sane, dopo trattamento del tumore primitivo (tumori di bocca, faringe, laringe, testicolo, prostata, ovaio, mammella o utero; linfomi maligni ai primi stadi). Complementare all’intervento chirurgico, la radioterapìa dei tumori può precederlo o seguirlo. Nel primo caso il trattamento ha lo scopo di ridurre una massa tumorale così da renderla operabile; nel secondo viene utilizzata per eliminare appunto possibili focolai microscopici residui. In associazione alla chemioterapia, la radioterapia trova impiego nel consolidamento di risposte farmacologicamente complete nella cura dei linfomi. Una modalità di recente introduzione è data dalla radioterapia intraoperatoria, effettuata cioè durante l’intervento chirurgico, allo scopo di indirizzare le radiazioni solo sul tessuto tumorale senza l’interposizione della cute o degli organi vitali limitrofi. Messa a punto per migliorare le strategie terapeutiche di alcuni tumori addominali, si deve ancora considerare una tecnica sperimentale.

     

    Schemi di somministrazione ed effetti secondari

    Per quanto concerne più strettamente la tecnica di somministrazione, l’esperienza clinica dimostra in generale il vantaggio di procedere a una suddivisione del trattamento in più frazioni per garantire la migliore tolleranza possibile ai tessuti sani a scapito di quelli tumorali. Lo schema di frazionamento più noto consiste nel ripartire la dose totale di radiazioni in cinque frazioni settimanali; in circostanze specifiche, e compatibilmente con la tecnica attuata, possono essere impiegate frazioni singole a dose elevata o dosi singole molto basse diluite nel tempo. Molto usati, specie in passato, i trattamenti a ciclo spezzato (split course), con un intervallo di una o due settimane fra due cicli d’irradiazione. Malgrado le fondamentali innovazioni di questi ultimi anni, la radioterapia non può ancora considerarsi una tecnica del tutto sicura e priva di effetti collaterali. I danni da radiazioni sono classicamente distinti in immediati e tardivi. I primi (analogamente alla chemioterapia) sono principalmente a carico dei tessuti a rapida moltiplicazione, particolarmente suscettibili all’azione delle radiazioni ionizzanti: è il caso della cute (dermatite da raggi, arrossamenti, pigmentazioni, screpolature nel campo d’irradiazione), delle mucose (stomatiti, enteriti o cistiti), del midollo osseo (riduzione del numero di globuli bianchi e piastrine). Le reazioni più tardive possono manifestarsi indipendentemente dalle prime a causa del danno subito a livello del tessuto connettivo e dei vasi: le conseguenze comprendono l’indurimento (fibrosi) del tessuto sottocutaneo, l’infiammazione delle mucose comprese nel campo d’irradiazione, le fibrosi precordiali e polmonari. Sono state riportate anche osteoporosi nei distretti ossei colpiti e cataratta a carico del cristallino. Non va dimenticata l’azione immunosoppressiva, mutagena e soprattutto teratogena delle radiazioni.