mammella, tumori della


    Aggiornato il 14 Dicembre 2015

    tumori a carattere benigno o maligno che colpiscono la mammella.

    Tumori benigni

    È possibile distinguere: displasie mammarie, lesioni pseudotumorali (mastiti, galattocele ecc.) e tumori benigni. Questi ultimi sono classificati in: fibroadenoma e adenoma semplice (che interessano prevalentemente donne giovani); papilloma intraduttale e tumore filloide (che colpiscono più spesso donne tra i 40 e i 50 anni). Costituiti da piccoli nodi di dimensioni variabili (da un chicco d’uva a una noce), solitamente non causano dolore, possono ingrandirsi in gravidanza o subito prima della menopausa. Il papilloma intraduttale può dare secrezione ematica dal capezzolo, il tumore filloide può ingrandirsi molto rapidamente fino a raggiungere dimensioni tali da modificare il profilo della mammella. Alcuni di questi tumori possono trasformarsi in maligni, perciò la terapia è sempre chirurgica.

     

    Tumori maligni

    I tumori maligni che colpiscono la donna, quelli localizzati alla mammella -e, tra questi, i carcinomi che originano direttamente dalla ghiandola mammaria- sono i più frequenti. È necessario formulare una diagnosi precoce e soprattutto informare le donne sull’importanza dell’autopalpazione periodica come pratica che la rende possibile. Spesso è proprio la donna la prima ad accorgersi della presenza di un’irregolarità (sotto forma di nodulo) all’interno della mammella, e in tal caso è necessario recarsi dal medico cui spetterà di suggerire i provvedimenti più adeguati.

    Epidemiologia

    Ogni anno in Italia oltre 11.000 donne muoiono di cancro mammario. L’incidenza nelle varie regioni italiane ha un netto gradiente Nord-Sud (nel senso che al Nord è maggiore), analogamente a quanto avviene nel resto del mondo, dove questo tumore è tanto più diffuso quanto maggiore è il grado di occidentalizzazione dei vari paesi (industrializzazione e abitudini di vita, soprattutto alimentari, parrebbero coinvolte). Il rischio aumenta con l’età: la più colpita è quella intorno alla menopausa, anche se negli ultimi anni si è constatato un aumento della frequenza nelle donne più giovani.

     

    Fattori di rischio

    È possibile individuare uno specifico sottogruppo a rischio: disponiamo di dati sui singoli. Il rischio è tanto minore quanto più tardivo è il menarca e precoce la menopausa (minor esposizione agli estrogeni). Il rischio è tanto minore quante più gravidanze una donna ha avuto e quanto più precoce è stata la prima. L’obesità è un rischio solo dopo la menopausa. Il rischio è tanto maggiore quanto maggiore è la dose cumulativa di radiazioni toraciche a cui la donna è stata esposta e quanto più precoce è stata l’esposizione (soprattutto prima dei 20 anni). Alcol e alimentazione sono fattori di rischio in relazione alla quantità di calorie introdotte e alla percentuale di queste in lipidi animali. Per quanto riguarda i contraccettivi orali, non ci sono risposte definitive. La terapia ormonale perimenopausale a base di soli estrogeni per os è associata a un aumento del rischio ma non v’è consenso unanime su quanti anni di terapia siano necessari per provocare questo effetto neoplastico; per le somministrazioni transdermiche (cerotti) è ancora troppo presto per trarre conclusioni; l’aggiunta di progestinici ha fornito dati discordanti. Una familiarità vera, legata a fattori genetici ereditari, è rara ma esiste; non va confusa tout-court con la presenza di più casi di tumore della mammella nella stessa famiglia, perché questa può essere casuale o legata a fattori ambientali.

    Anatomia patologica

    Il carcinoma della mammella deriva dalle cellule epiteliali dell’albero ghiandolare mammario e può dar luogo a diversi istotipi; di questi, i più frequenti sono il carcinoma duttale (75%) e quello lobulare (5%): entrambi derivano, in realtà, dalle unità terminali dottolobulari e successivamente si sviluppano diversamente tra loro. Dal punto di vista morfologico, entrambi possono presentarsi come carcinomi in situ (non invasivi) o infiltranti. Dal punto di vista biofunzionale, i tumori della mammella possono possedere recettori cellulari di superficie per gli ormoni steroidei (estradiolo e progesterone, con significato prognostico favorevole) ed essere variamente associati alla presenza di oncogeni, protoncogeni e geni oncosoppressori.

    Clinica

    All’inizio può trattarsi del reperto casuale di un semplice nodulo mammario. Segni clinici di neoplasia in fase più avanzata sono solitamente la presenza di: nodulo duro e a contorni irregolari, retrazione della cute, edema, scarsa mobilità della tumefazione, secrezione ematica o sieroematica monoporica, alterazioni del capezzolo, adenopatia ascellare. I tumori maligni si diffondono attraverso la via linfatica e compromettono i linfonodi ascellari, mammari interni e sopraclaveari; attraverso la via ematica causano metastasi ossee alla colonna vertebrale, al femore, alla pelvi, all’omero, alla tibia e al radio, e metastasi polmonari (evidenziabili mediante radiografia del torace, tomografia e broncoscopia).

     

    Diagnosi

    Si basa su alcuni momenti fondamentali: (1) Autoesame, insegnato dal medico e praticato poi dalla donna, che impara a conoscere le proprie mammelle e riconoscere la presenza di lesioni o noduli sospetti. (2) Esame clinico: ricerca di lesioni focali da sottoporre a indagini specifiche. (3) Mammografia : mezzo efficace di screening nelle donne d’età compresa tra i 50 e i 70 anni, in grado di rivelare carcinomi in fase preclinica. (4) Ecografia: utile per diagnosticare in modo atraumatico lesioni benigne (per esempio le cisti) e per guidare l’agoaspirazione e la biopsia chirurgica di lesioni sospette. (5) Agoaspirazione e microbiopsia: su guida clinica, ecografica o mammografica, precisa la natura delle lesioni ma non può distinguere tra un carcinoma in situ e uno infiltrante. (6) Galattografia, ecocolor-doppler, tecniche di medicina nucleare, risonanza magnetica, TAC: da riservare a casi selezionati.

    Stadiazione

    Rilevante nella programmazione terapeutica. Le indagini importanti a tale fine sono: radiografia del torace, ecografia addominale, scintigrafia ossea, determinazione dei marcatori tumorali (CEA e CA 15.3), esami di laboratorio e in particolare fosfatasi alcalina, transaminasi e gammaGT. È oggi in fase di avanzata applicazione una tecnica che consente di acquisire informazioni utili a determinare il grado di diffusione del tumore e il tipo di intervento terapeutico che si renderà necessario: lo studio del “linfonodo sentinella”.

    Terapia

    Le numerose ricerche condotte nell’ambito dei tumori della mammella hanno provocato un mutamento radicale dell’approccio terapeutico a questa neoplasia. Diversi sono i protocolli sperimentati perché molto diverse tra loro sono le facce del tumore. La chirurgia (con diversi gradi di mastectomia ) resta ancora il “gold standard” -in collaborazione tra chirurgo oncologo e chirurgo plastico- soprattutto negli stadi non avanzati: in alcuni casi ancora demolitiva, è oggi quanto mai possibile intervenire con trattamenti conservativi, associabili alla radioterapia in base agli schemi previsti. In casi selezionati, è possibile far precedere l’opera del chirurgo da cicli chemioterapici che hanno lo scopo di ridurre le dimensioni della massa da asportare. In ogni caso, i trattamenti medici sono poi in grado di ridurre le recidive di malattia nelle donne operate; in particolare, si segnala l’utilizzo della chemioterapia citotossica (ciclofosfamide, metotrexate o 5-fluorouracile) soprattutto nelle donne al di sotto dei 50 anni o in premenopausa, e l’uso di terapie ormonali (tamoxifene, un antiestrogeno) nelle donne oltre i 50 anni o in postmenopausa, quando siano identificati i recettori ormonali presenti sulle cellule tumorali in modo da ostacolare la crescita del tumore. È allo studio la possibilità di somministrare alte dosi di chemioterapia, facendole seguire dalla reinfusione di cellule staminali, per migliorare la prognosi delle pazienti a rischio molto elevato di recidiva. Appartengono per il momento al futuro terapie innovative su base biologica, che utilizzano molecole antisenso, promotori dell’apoptosi, fattori antineoangiogenetici e anticorpi monoclonali diretti contro fattori di crescita tumorali o altri prodotti di oncogeni. Sono in fase di pubblicazione i risultati di uno studio in cui è stato utilizzato il tamoxifene come arma di chemioprevenzione primaria: se confermati, essi dimostrerebbero la possibilità di prevenire lo sviluppo di carcinoma della mammella in donne a elevato rischio per questa patologia. Analoghe proprietà apparterrebbero anche al raloxifene, un farmaco analogo al precedente.