o insieme di malattie con quadri clinici anche diversi tra loro. Costituiscono una delle neoplasie pi(o linfoma maligno) tumore derivante dalla trasformazione neoplastica di cellule che risiedono prevalentemente nel tessuto linfoide. I linfomi rappresentano un vasto gruppo di malattie, assai eterogenee dal punto di vista clinico e istologico. Le due principali varianti di linfoma maligno sono il morbo di Hodgkin e il linfoma non-Hodgkin. Benché entrambi questi tumori infiltrino gli organi reticoloendoteliali, essi sono biologicamente e clinicamente differenti. Avendo il morbo di Hodgkin aspetti così peculiari da dover essere discussi separatamente, ci soffermeremo qui sul linfoma non-Hodgkin o meglio sui linfomi non-Hodgkin, un vasto insieme di malattie con quadri clinci anche diversi tra loro. Negli anni sono arrivati a costituire uno dei tumori più frequenti negli individui che hanno tra i 20 e i 40 anni, in parte a seguito della cresciuta incidenza dell’AIDS in questa fascia d’età. L’agente eziologico resta a tutt’oggi sconosciuto, anche se gli studi suggeriscono una possibile causa virale (solo il linfoma di Burkitt e alcuni linfomi a cellule B altamente maligni sarebbero fortemente associati, specie nei pazienti HIV positivi, al virus di Epstein-Barr [EBV], così come i linfomi a cellule T dell’adulto sarebbero causati dal virus della leucemia umana a cellule T [HTLV-I] nelle zone dove si presentano endemici); accanto a ciò, sono state evidenziate anomalie citogenetiche e è stato postulato che un ruolo importante potrebbe essere svolto dagli oncogeni (sempre nel linfoma di Burkitt, è confermata l’esistenza di una traslocazione tra il cromosoma 8 e altri cromosomi cellulari); infine, un aumento di incidenza di linfomi si osserva anche in pazienti sottoposti a trattamento immunosoppressivo (per esempio, dopo che hanno subito un trapianto d’organo) e in portatori di malattie immunopatologiche da deficit immunologici ereditari o acquisiti (AIDS). I linfomi non-Hodgkin attualmente vengono classificati, sulla base dell’indagine microscopica, in tipi istologici diversi, suddivisi in tre gruppi a malignità crescente. La diagnosi di linfoma non-Hodgkin, e il conseguente inquadramento in uno dei tre gruppi, rappresenta un passo fondamentale per la scelta della terapia e richiede quindi sempre l’indagine microscopica sul materiale patologico (linfonodi, frammenti di mucosa gastrica, midollo osseo). I linfomi non-Hodgkin possono originare dai linfonodi, oppure dalle strutture linfatiche non ghiandolari: tonsille, stomaco, intestino, milza. Più spesso, il linfoma non-Hodgkin si presenta con una persistente linfoadenopatia periferica non dolente: più colpiti appaiono i linfonodi superficiali (laterocervicali, sovraclaveari, ascellari, inguinali ecc.) e poi quelli profondi (toracici, addominali), con sintomi relativi agli organi eventualmente coinvolti. Rispetto al morbo di Hodgkin, è meno comune per questi pazienti presentare fin dall’inizio sintomi sistemici come febbre, dimagramento e sudorazione profusa. La diagnosi è fondamentalmente istologica, con biopsia linfonodale, midollare o d’organo: essa definisce presenza e tipo del linfoma. Altre procedure (TAC, radiografia del torace, esami ematochimici, tomografia computerizzata a emissione fotonica singola o SPECT, risonanza magnetica e altro ancora) possono aiutare nella ” stadiazione ” del tumore. Il tipo di approccio terapeutico ai linfomi non-Hodgkin dipende dal grado di malignità del tumore e dalla sua estensione; l’arma più efficace è la chemioterapia, associata o meno alla radioterapia, secondo schemi diversi. A ciò si può far seguire il trapianto di midollo osseo, per ovviare alla prolungata mielosoppressione indotta da trattamenti chemio- e radioterapici particolarmente aggressivi. I risultati paiono incoraggianti, con discrete percentuali di guarigione; una rilevante quota di pazienti che non guariscono hanno comunque una sopravvivenza di molti anni con una buona qualità di vita. Promettente pare l’aiuto che potrà venire dall’immunologia e dalla biologia molecolare attraverso l’utilizzo delle citochine (interferone, interleuchine e tumor necrosis factor su tutte), così come dei fattori di crescita ematopoietica, che potrebbero limitare il grado di immunosoppressione consentendo l’impiego dei classici chemioterapici a dosi più massicce. Ancora molto difficile è il trattamento dei linfomi non-Hodgkin correlati all’AIDS (tra questi, nel gruppo dei linfomi cutanei a cellule T vanno segnalati la micosi fungoide e la sindrome di Sézary).