Come trovare un dialogo con un figlio difficile?

    Pubblicato il: 11 Marzo 2012 Aggiornato il: 11 Marzo 2012

    DOMANDA

    Buongiorno Dott.ssa Piana,
    ho un figlio di 29 anni in comunita’ di recupero per tossicodipendenti, dopo aver fatto 2 anni di carcere per spaccio e per violenza negli stadi. Il mio problema quotidiano, che poi si acutisce durante i colloqui in comunità, è il modo con cui relazionarci con lui. I nostri sentimenti sono un misto di dispiacere-rabbia, soprattutto quest’ultima che tiene il sopravvento, ma gli educatori ho notato che preferiscono un dialogo contenuto. A suo parere come possiamo comportarci per fargli capire che nel futuro non saremo certo accomodanti e generosi come prima, considerando i risultati ottenuti, anche se abbiamo capito che comunque aveva molte fragilita’ e zero autostima, che lo hanno portato a frequentare ambienti poco raccomandabili, lontani anni luce dall’ambiente in cui è cresciuto?
    Ha un concetto strano del valore di amicizia e la nostra paura è che rifrequenti le stesse persone di prima, anche se incensurati, ma conniventi, quindi suoi pari. Anzi peggio.
    La ringrazio, cordiali saluti
    Rosalba

    RISPOSTA

    Gent.le Sig.ra Rosalba,
    comprendo bene quanto la situazione che state attualmente vivendo in famiglia sia complicata. In questi casi il problema maggiore è proprio, come lei stessa sottolinea, l’ambivalenza dei sentimenti che porta i familiari (genitori in primis) ad essere letteralmente invasi da molteplici emozioni, che spaziano dalla rabbia al dolore. È inevitabile anche che facciano capolino numerose domande ed eventuali sensi di colpa per cosa è successo al proprio figlio; i genitori spesso si chiedono in cosa abbiano sbagliato nell’educazione, se avrebbero potuto fare qualcosa di diverso o, semplicemente, di più. Io credo che la vostra situazione sia, tuttosommato, in una fase di ridefinizione. Ci rifletta: in fin dei conti vostro figlio, ha già pagato il suo debito con la società, attraverso il carcere, e adesso sta svolgendo un percorso di riabilitazione in una comunità apposita, ipotizzo con buoni risultati o comunque con impegno, sebbene lei non ne faccia menzione. Non è da tutti i giovani che hanno vissuto esperienze simili riuscire a portare avanti una strada di questo tipo, che poi è l’unica per uscire fuori da certe situazioni. Anche voi, in quanto genitori, avete fatto un percorso, immagino denso di sofferenza e contraddizioni; avete compreso le sue fragilità, la sua mancanza di autostima, andando quindi al di là della semplice rabbia per ciò che ha fatto, ma cercando di capire perché lo ha fatto. Mi chiedo se vi siate anche concessi uno spazio vostro (mi riferisco ad un percorso psicologico) per una rielaborazione di tale vissuto, di sicuro non semplice ed immediato, e, in caso contrario ve lo consiglio caldamente.
    Per quanto riguarda il problema di far capire a vostro figlio che non sarete più accomodanti in futuro nei suoi confronti, a mio parere la cosa migliore è semplicemente parlargliene. Immagino che il ragazzo abbia già capito, da ciò che gli avrete detto, ma anche dal tono e dalla relazione che si crea nei vostri colloqui quotidiani, la rabbia, la frustrazione, la delusione ed in genere i sentimenti “distruttivi” che avete provato nei suoi e nei vostri stessi confronti. Adesso è forse necessario ricominciare a “costruire” un rapporto, parlando sì della paura che certi eventi possano riverificarsi, ma anche della fiducia che ciò non avverrà e della vostra disponibilità non nell’essere accomodanti, ma nell’essere presenti e vicini nelle sue scelte di vita future. Se, come lei stessa scrive, suo figlio ha mancato di autostima ed è sempre stato fragile, non si può costruire un dialogo continuando a minare la sua autostima, ma (e qui hanno ragione gli educatori) facendo leva su un rapporto più adulto e maturo, come si confà all’età del ragazzo. Mi rendo conto di quanto ciò possa essere difficile per dei genitori che hanno visto infrante le loro aspettative e si sono ritrovati catapultati in una realtà che mai avrebbero voluto, ma il compito del genitore è proprio quello di stare accanto ai propri figli sostenendoli in qualsiasi situazione, anche se ciò a volte può voler dire doversi forzare o andare contro il proprio modo di essere. Sul fatto che vostro figlio possa ricadere in situazioni pericolose voglio essere fiduciosa che il percorso sociale e personale che ha fatto in questi anni gli sia stato utile a comprendere di più se stesso ed a capire in quale direzione andare; anche in questo voi dovrete stargli vicini. Fate in modo che i vostri colloqui, quotidiani o settimanali, non siano sempre un’arena di scontri e motivo di rimproveri, ma momenti di costruzione del futuro, un passo avanti nel vostro modo di stare insieme e di essere genitori e figlio.
    Tanti cari auguri,
    Dott.ssa Piana

    Sonia Piana

    Sonia Piana

    SPECIALISTA IN TERAPIA FAMILIARE. Psicologa e psicoterapeuta presso la residenza sanitaria assistenziale San Giacomo di Torino. Nata a Torino nel 1977, si è laureata in psicologia clinica e si è specializzata in psicoterapia sistemica relazionale. È consulente-formatrice in alcune cooperative del Piemonte, soprattutto per tematiche sull’handicap e sul lavoro di equipe nei contesti sociali. I […]
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