DOMANDA
Gentile dott.ssa,le scrivo perchè da un pò di tempo sono preuccupata per degli attacchi d’ansia che mi provocano un nodo allo stomaco e da quì il rifiuto del cibo.Ma vorrei partire con ordine.La prima volta che ebbi un attacco d’ansia,ero molto piccola,avevo 15 anni.Mentre guardavo un film alla tv con degli amici mi venne un senso di calore sul petto e poi una forte tachicardia.I miei genitori si preoccuparono e mi fecero fare vari elettrocardiogrammi ma nn c’era nulla.Questi attacchi mi tornarono anche altre volte a distanza di tempo.Oggi ho 24 anni e due anni fa invece questo attacco è tornato ma in forma amplificata,non avevo la tachicardia,ma un senso di caldo fortissimo,stanchezza,senso di paura e depressione,e soltanto il pensiero di mangiare mi portava nausea,andai al pronto soccorso e mi dissero che era un’inizio di anoressia e una leggera depressione.Provai a nn pensarci e ripresi anche a fare sport e diciamo che il problema mi aveva lasciata in pace,oggi sta tornando come prima
RISPOSTA
Gent Signora, dalla descrizione dei suoi sintomi direi che la sua problematica non si inserisce in un Disturbo del Comportamento Alimentare anche se ha come sintomo la difficoltà di alimentarsi. Infatti nei disturbi del comportamento alimentare il rifiuto del cibo è un rifiuto “attivo” determinato dal desiderio di calare di peso ( e non da dolori allo stomaco) anche se si è normopeso o già in sottopeso. La tensione verso la magrezza è il risultato di un’ alterazione del modo in cui la persona vive il proprio corpo e la forma del proprio corpo. Questa alterazioen spesso è il frutto di un disagio psicologico più ampio che trova espressione in una focalizzazione sul corpo. Nel suo caso direi che la difficoltà ad alimentarsi è collegata a sintomi psicopatologici che andrebbero ben indagati da uno psichiatra.
Quindi il primo passo da fare ,se dal punto di vista fisico non è stata rilevata alcuna patologia è fare un buon inquadramento diagnostico che permetta anche di escludere alcune diagnosi ipotizzate che rischiano di restare ” adese” al suo quadro clinico senza una validazione adeguata.
Soltanto da una buona diagnosi potrà venire una adeguata indicazione terapeutica che potrà contenre aspetti sia farmacologici che psicoterapeutici.