DOMANDA
Salve gentilissimo dottor Rizzardo sono una ragazza di 30 anni, a 17 anni nel 2005 ho avuto diagnosticata il disturbo bipolare con sintomi allucinatori sia visivi che uditivi in quanto presentavo allucinazioni visive ed uditive più un comportamento con situazioni depressive.SO che in relatà quella diagnosi in realtà non era disturbo bipolare ma in verità disturbo schizoaffettivo in base ai sintomi vhe presentavo, dal momento della diagnosi alla terapia non ho più avuto sintomi nè manifestazioni di tipo depressivo o allucinatorio. Ho fatto danza fino all’età di 28 anni e adesso mi sono iscritta all’università. Dopo la diagnosi momento ho assunto zyprexa da 5 mg fino all’età di 22 anni che poi mi è stata ridotta a 2.5mg e che ad ottobre di questo stesso anno mi è stata tolta dallo psichiatra che mi ha visitata.Ora io mi chiedo non avendo avuto più nessun sintomo dopo la diagnosi e l’inizio della cura e vendo man mano ridotto i farmaci tra l’altro passando attraverso la morte di un parente caro in questo periodo e anche il periodo di studio intenso con nottate per lo studio in questo ultimo anno, le mie domande sono
1) ha fatto male lo psichaitra a togliemi la cura?
2) dopo che non ho più avuto alcuna ricaduta dall’età di 18 anni momento in cui mi è stata fatta la diagnosi, potrei anche essere guarita?
3) ho letto che ho serie possibilità che i miei figli sviluppino o la schizofrenia o la sindrome bipolare in quanto i miei sintomi essendo una via di mezzo in raltà c’è un rischio genetio comune
può aiutarmi per favore a capire? Attendendo la sua risposta , nell’attesa la ringrazio in anticipo per la sua attenzione e le auguro una buoan serata.
RISPOSTA
Per rispondere alla sua domanda in maniera utile vorrei premettere che le diagnosi in psichiatria sono spesso da intendersi come etichette che raggruppano alcuni sintomi e comportamenti (sindromi) tipici di una presunta malattia di cui non si conoscono esattamente né le cause, né le possibili modalità di presentazione ed evoluzione (prognosi); questo vale in particolare per disturbi come la schizofrenia e ancor più per il disturbo schizoaffettivo, termine introdotto per dare un nome a insiemi di sintomi che non rientravano bene né nella schizofrenia né nei disturbi affettivi. Per quanti progressi siano stati fatti nella conoscenza dei meccanismi cerebrali connessi a sintomi psichiatrici e nello studio della genetica di alcuni disturbi mentali, che ci consentono di fare ragionamenti statistici per esempio sulla probabilità che un genitore schizofrenico abbia un figlio con lo stesso disturbo, o sulla possibilità di ricaduta, non abbiamo sufficienti informazioni per rispondere in maniera certa a domande sul singolo individuo. Detto questo, nella pratica clinica, se una persona ha avuto un episodio psicotico in età adolescenziale (così si può genericamente definire quello che le è capitato a 17 anni) curato con successo senza ricadute per molti anni è presumibile che il rischio di ricadute sia molto ridotto e sia giustificato sospendere terapie che possono non essere più necessarie. Sul rischio genetico non starei a farmi inutili crucci proprio per le scarse capacità di previsione che abbiamo, data anche l’incertezza sulla diagnosi appropriata all’episodio da lei vissuto.