DOMANDA
Gentilissima dott.ssa,
Sono la mamma di un ragazzo di 23 anni che soffre di DOC dall’etá di 16. Quando lo abbiamo scoperto stava molto male, aveva frequenti Tic, non era capace di concentrarsi. Lo abbiamo ricoverato e con il Maveral è riuscito a riprendersi e a tornare ad una vita normale. Purtroppo dopo due anni ha interrotto volontariamente la cura perchè si sentiva bene. Da quel momento è cominciato il calvario perchè due anni dopo c’è stata la ricaduta, un nuovo ricovero e il ritorno al Maveral. Ma ancora una volta , non so perchè, appena ha incominciato a sentirsi meglio ha sospeso idi nuovo il Maveral. ( in questi anni era studente fuori sede e risiedeva da solo a Bari, per cui non potevo controllare). Ha avuto un’altra ricaduta e un nuovo ricovero. Al DOC si è aggiunta una leggera forma di psicosi accompagnata da delirio. Ora è in cura có Ez, tre compresse al giorno, Serenase, 10 gocce al mattino e 10 alla sera.
Tuttavia dopo un mese di trattamento non vedo miglioramenti, anzi. È molto demoralizzato perchè ha difficoltà a concentrarsi, ha perso l’entusiasmo nel fare le cose. A volte piange perché non si sente gratificato.
Io non so come comportarmi per il suo bene. Su consiglio dello psichiatra, sta con noi a casa. É normale con il tipo dura che fa, avere questi effetti?
Grazie, spero di essere stata chiara.
Cordiali saluti.
RISPOSTA
Gent.ma,
immagino quanto una sofferenza iniziata così precocemente costituisca una difficile sfida sia per suo figlio che per tutta la vostra famiglia, e di conseguenza quanto talvolta ci si possa sentire demoralizzati e stanchi.
In queste situazioni è abbastanza frequente che si verifichi un andamento discontinuo simile a quello che lei descrive, in cui periodi di adesione alla cura farmacologica e di sollievo dai sintomi si alternano a improvvisi abbandoni, che a volte possono essere associati anche al desiderio della persona di provare a misurarsi con le proprie forze con i sintomi della malattia.
Spesso ciò avviene anche in concomitanza con particolari fasi evolutive, di crescita e quindi di conseguente modificazione del rapporto con se stessi e con i propri punti di forza e di fragilità, così come delle proprie relazioni con gli altri, in primo luogo quelle con la propria famiglia.
Mi chiedo se abbiate mai avuto modo di affrontare con lo psichiatra che vi segue questi aspetti complementari ai temi dei farmaci/sintomi/malattia e maggiormente inerenti la dimensione psicologico-relazionale e di adattamento alla malattia di suo figlio, in un’ottica di percorso evolutivo che si modifica continuamente nel tempo e che necessita di ascolto, comprensione , cura e accompagnamento.
Una dimensione che riguarda sia suo figlio, come persona direttamente coinvolta in questo percorso, che sta crescendo e probabilmente può trarre giovamento dal sentirsi sostenuto e accolto nelle sue preoccupazioni e nei suoi progetti, sia lei e voi come famiglia che è vicino a lui, che lo sostiene e che forse può usufruire di uno spazio vicino e distinto in cui essere analogamente sostenuta e ascoltata; perchè se ci sentiamo meno soli si possono affrontare anche le difficoltà nuove e diverse che si incontrano, così come già avvenuto in passato.
Con i miei migliori auguri, cordialmente
Laura Belloni