DOMANDA
Da mesi mi hanno tolto il carico di lavoro, nonostante abbia lavorato sempre con molto impegno e dedizione. Ho scritto una lettera lamentando la mia inattività e come previsto la risposta è stata quella di una mobilità in altro settore. Non immaginavo che togliermi il lavoro mi avrebbe ferito così tanto. Sono diventata triste, mi sento triste e la tristezza traspare anche all’esterno poichè in tanti me lo fanno notare. A parte la cause del mobbing, ora devo fare i conti con il mio io ferito e vorrei uscirne vincente. Il cambiamento non mi spaventa e mi dico che non vale la pena soffrire così. Ma sono solo parole. Mi sento distrutta e non posso far finta che non lo sia. C’è una strategia per far fronte a questa esperienza? grazie. Marianna
RISPOSTA
Gentile Marianna,
la reazione che lei sta vivendo è (purtroppo) “normale”, nel senso che è la risposta, come lei dice giustamente, ad una “ferita dell’Io”, cioè ad un attacco contro la sua autostima, il suo senso di essere e di esistere, la sua funzione lavorativa. Situazioni di questo genere sono, purtroppo, messe di frequente in atto nel mondo del lavoro – dai “mobber”, o dai rappresentanti dell’organizzazione – con una superficialità estrema e sconcertante, come se le persone fossero “macchine”, senza comunicazione o minima condivisione, senza un’idea di progetto alternativo.
Le direi, prima di tutto, di vivere la sua tristezza nel modo più sereno possibile – può sembrare contraddittorio, lo so -. Nel senso che quando siamo “feriti”, o colpiti, naturalmente possiamo diventare tristi e perdere momentaneamente la fiducia in noi stessi. Non faccia nulla per “combattere” la sua tristezza, ma la lasci vivere, perché è una reazione fisiologica della sua psiche. Al momento attuale, è probabile che ogni cosa le potrà sembra difficile, molto più difficile di come è: ci si può sentire “piccoli” di fronte ad un mondo violento e incomprensibile.
Come secondo passo metta bene in chiaro (a se stessa) tutto ciò che esiste nella sua vita oltre al lavoro, tutto ciò che ha realizzato fino ad oggi, le sue capacità e le sue vittorie, più o meno grandi. Ancora: si distanzi un po’ dal suo “essere professionale” in attesa degli eventi, guardi le cose da lontano, con un po’ di sano distacco, pensando anche che questi eventi accadono in base al principio (è il titolo di un libro pubblicato qualche anno fa): “Nothing Personal, Just Business” = “Nulla di personale, è solo una questione di affari”.
In fasi di questo genere è importante parlare con gli altri, confrontarsi, condividere, magari richiedere il supporto – proprio nel senso di una “psicoterapia supportiva” – ad un professionista con il quale confidarsi, esponendo anche le questioni più intime. Quindi chieda pure un aiuto esperto, senza vergognarsene, se pensa di averne necessità, o se i suoi cari glielo consigliano, sulla base di come la percepiscono.
Dia un’occhiata più accurata alle sue condizioni fisiche, dato che in questi frangenti possono emergere sindromi psicosomatiche o, più in generale, può manifestarsi un globale indebolimento del sistema immunitario e, quindi, delle sue difese.
Faccia invece attenzione a parlare all’interno dell’ambiente di lavoro, ambiente nel quale troppo spesso emergono i cosiddetti “co-mobber”, cioè una sorta di “alleati” di coloro che hanno attivato il mobbing, o la violenza sul luogo di lavoro.
Cari saluti,
Andrea Castiello d’Antonio