Open space dannosi?

    DOMANDA

    lavoro in un open space: nella stessa stanza, senza pareti o spazi tra persone, siamo in molti (dalle 4 alle 6 persone). Per me è stressantissimo: ascoltare le telefonate di tutti (per non menzionare altro), non poter governare l’aria condizionata sulle mie esigenze etc etc mi disturbano veramente molto. Leggende metropolitane dicono che l’inventore dell’open space abbia chiesto scusa al mondo prima di morire: io ci credo. Esistono studi pubblici che dimostrano la pericolosità funzionale (per l’organizzazione) e per la salute dei lavoratori?

    RISPOSTA

    Come spesso accade, medici del lavoro e igienisti industriali hanno avanzato da tempo importanti riserve sugli spazi indivisi di lavoro, ma queste segnalazioni non hanno finora incontrato la necessaria attenzione da parte di chi è responsabile della pianificazione dei luoghi di lavoro.
    Gli spazi indivisi sono largamente usati, perché consentono importanti risparmi di spazio e dovrebbero anche favorire l’integrazione tra i lavoratori. Tuttavia, se è vero che una attenta riorganizzazione dell’attività di lavoro, con il disegno di layout che favoriscano l’integrazione dei compiti, l’eliminazione di copiature su carta e la flessibilità degli orari possono consentire la realizzazione di spazi aperti confortevoli e nei quali la produttività non è ridotta, come riportato in alcune interessanti esperienze (Meijer et al. 2009), è innegabile che nella maggior parte dei casi l’introduzione degli spazi aperti comporta problemi per il benessere e per la soddisfazione dei lavoratori, che inevitabilmente finiscono per ridurre la produttività (Costa & Villarouco, 2012).
    Tra il 30% ed il 50% dei lavoratori cinesi che operano in spazi aperti segnala la presenza di rumori fastidiosi o molto fastidiosi, provenienti dall’esterno, dall’impianto di ventilazione, dai personal computer o dai colleghi; c’è una correlazione tra il fastidio per il rumore di fondo e l’insoddisfazione o la depressione (Zhang et al. 2012). Gli effetti negativi del rumore ambientale, le distrazioni, la ridotta privacy, le difficoltà di concentrazione che si verificano determinano una significativa riduzione della produttività individuale; inoltre i benefici attesi in termini di cooperazione non si verificano, ma anzi la collaborazione diventa meno piacevole e diretta (Kaarlela-Tuomaala et al., 2009).
    Negli spazi aperti è più frequente la sensazione di discomfort termico e più alta la frequenza di disturbi del sistema nervoso centrale e delle mucose che compongono il quadro della cosiddetta “sick building syndrome” o sindrome dell’edificio ammalato (Pejtersen et al. 2006). Gli effetti delle modificazioni termiche e del rumore di fondo, anche quando questo si mantiene al di sotto di 55 dBA (un livello che consente ancora di parlare a bassa voce) accrescono significativamente la fatica dei lavoratori ed il loro stato di distress (Witterseh et al. 2004). Al rumore e allo stress termico si associano spesso problemi di illuminazione (Newsham et al. 2008) e questo insieme di fattori aumenta significativamente l’insoddisfazione. Il passaggio dagli uffici tradizionali a quelli aperti in alcuni casi ha prodotto dei veri disastri produttivi, come quello della Northern Oil sul finire degli anni ’90 (Vischer 1999).
    Come vede, quindi, ricerche condotte in tutti i paesi del mondo sono concordi nello sconsigliare l’adozione di spazi aperti.

    Nicola Magnavita

    Nicola Magnavita

    Dirigente medico di medicina del lavoro presso il Policlinico Gemelli, docente di medicina del lavoro all’Università Cattolica di Roma. Nato nel 1953, si è laureato in medicina nel 1977 e si è specializzato in medicina del lavoro nel 1980. È autore di oltre 500 articoli scientifici, su riviste nazionali e internazionali, e di 10 libri. […]
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