pessimo rapporto col padre

    DOMANDA

    Caro dottore il rapporto che ho con mio padre è pessimo, è brutto dirlo lo so ma non lo sopporto più, si arrabbia con la sua famiglia per niente non parla per giorni e io non tollero la situazione. Secondo lei che cos’ha? Che dovrei fare con lui per avere un rapporto migliore? dopo tutto è sempre mio padre.

    Grazie in anticipo

    RISPOSTA

    Gentilissima (o gentilissimo), lei chiede cosa fare in relazione al “pessimo rapporto” con suo padre. Un problema molto complesso, fra l’altro poco trattato nella letteratura specialistica, soprattutto se confrontato all’oceano di ricerche sulle relazioni madre – figlia/figlio. Il disagio che lei esprime è sintomatico dei nostri tempi. I rapporti con il padre sono sempre stati complicati e tortuosi, sia per le figlie che per i figli. Esistono numerosissime prove di questo fatto, a partire dalla Bibbia. Abramo voleva uccidere Isacco perché diceva che Dio, il suo Dio voleva da lui questa prova: sacrificare il suo unico figlio avuto in tarda età come prova della sua fede. Isacco si affida al padre. Lo ama. Si fida di lui. Sente che non potrà mai fargli del male. Anche quando comprende che è lui la vittima sacrificale di cui gli parla il padre Abramo. Poi avviene il miracolo. Dio ferma la mano di Abramo che stringe un pugnale che sta per trafiggere la gola del figlio. Compare un agnello d’improvviso. Isacco abbraccia il padre che gli dice: ecco l’agnello del sacrificio. Freud, durante la sua autoanalisi, comprende che il rapporto con suo padre, apparentemente corretto sotto ogni profilo, era in realtà pieno di risentimento e astio, rabbia. Freud risolve il suo conflitto con il padre nel momento in cui il padre è morto e sente che questo rapporto contiene tutto il significato della sua vita, o comunque gran parte di questo significato. Lei non dice nulla di sé: è femmina o maschio? quanti anni ha? cosa fa nella vita? è sposata/sposato, fidanzata/fidanzato, o single? Potrebbero sembrarle delle domande inutili. Ma, mi creda, il rapporto con il proprio padre ‘nasconde’ chi siamo, come siamo, cosa vogliamo, cosa vogliamo o sappiamo fare. Il mio consiglio è quindi di vedere meglio in se stessa/stesso. Perché, come dice lei, “dopo tutto è sempre suo padre”. I figli possono ‘aiutare’ il padre solo se ‘aiutano’ prima di tutto se stessi. Le faccio i miei più sinceri auguri per tutto, Luigi Aprile

    Luigi Aprile

    Luigi Aprile

    ESPERTO IN LINGUAGGIO E LETTURA NEI BAMBINI. Docente di psicologia dello sviluppo e psicologia dell’educazione all’Università di Firenze. Nato nel 1957 ad Addis Abeba (Etiopia), ha conseguito un dottorato in psicologia presso l’Università di Firenze. Si interessa soprattutto di sviluppo dei processi lessicali e di comprensione della lettura.
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