ragazzo affetto da disturbo schizoaffettivo

    Pubblicato il: 28 Aprile 2010 Aggiornato il: 28 Aprile 2010

    DOMANDA

    Chiarissimo Professore,ho un figlio di 37 anni laureatosi a 23 anni con 110 e lode in ingegneria. Nel 2001 si è depresso e dopo una breve fase eccitativa è stato bene. A settembre del 2005 è andato a vivere da solo, a novembre, lasciato dalla fidanzata, ha letto un centinaio di libri sulla psicologia e ad aprile 2006 ha avuto allucinazioni seguite da una fase maniaco eccitativa curata con aldol e depakin poi una depressiva curata con zoloft, dinuovo una maniaco eccitativa con aldol e depakin sino a dicembre 2008 quando decide di cambiare psichiatra che gli prescrive abilify associato allo zolof che smette a marzo 2010 per sua volontà .Con questa cura non ha avuto ricadute ma non è mai tornato normale(apatico difficoltà di concentrzione ecc.)quest’ultimo mese la situzione non è cambiata, solo più consapevole e meno inebetito.Lo psichiatra dice che è un disturbo schizoaffettivo e vuol ridargli la cura. Potrà guarire o dovrà fare la cura a vita? cordiali saluti Paola

    RISPOSTA

    Gentile Signora,
    data la diagnosi formulata dallo psichiatra curante, è importante che suo figlio, seguendo le indicazioni dello specialista e sfruttando l’attuale consapevolezza del disturbo di cui è affetto, assuma nuovamente il trattamento farmacologico, che, negli ultimi anni, come Lei scrive, ha consentito un discreto compenso, senza ospedalizzazioni. Le consiglio, pertanto, di sostenere suo figlio nel proposito di iniziare il trattamento. Per quanto riguarda i fattori associati alla prognosi del disturbo schizoaffettivo, i dati che emergono dalla letteratura sono disparati: età di esordio, anamnesi psichiatrica familiare, genere, durata del periodo di malattia non trattato, numero di ospedalizzazioni e polarità del disturbo (Disturbo Schizoaffettivo di tipo depressivo o bipolare). In studi con un periodo di osservazione fino a 7 anni è stata, inoltre, dimostrata l’efficacia del trattamento farmacologico a lungo termine nella profilassi del disturbo, in particolare per quanto riguarda la riduzione delle ospedalizzazioni. Pertanto, solo la storia clinica del paziente può consentire, al medico che l’abbia in carico e lo segua da tempo, di spiccare un giudizio prognostico sul caso specifico.
    Un caro saluto,
    Filippo Bogetto