DOMANDA
buongiorno le scrivo per esporre il mio problema: mio padre, da sempre giocatore, negli ultimi anni si è buttato nelle macchinette del poker.oltre al fatto economico ora per la seconda volta ha tentato di “farla finita” imbottentosi di sonniferi, a poco è servito, anche perchè a parer mio, il suo obiettivo era solo attirare l’attenzione su di lui per l’ennesima volta.
mia madre sono 40 anni che sopporta, ma per motivi diversi non si è mai decisa a lasciarlo, e probabilmente non lo farà mai.
E IO COME MI DEVO COMPORTARE? credo lui non abbia l’intenzione di farsi aiutare, da buon giocatore pensa di non essere malato e di poterne uscire quando vuole
io da pochi mesi vivo da sola, dovevo salvaguardarmi in qualche modo, mia sorella, si è sposata, e dopo 12 anni di psicoterapia, mi consiglia di restarne fuori, soprattutto riguardo la loro situazione coniugale.
mi sento impotente, e nello stesso tempo non vorrei pensassero che non mi interessa la loro salute mentale,non è così, ma io ci sto male, e non riesco a staccare la spina che mi lega a loro.
so che ci sono centri ai quali rivolgersi, ma non posso obbligarlo giusto? e poi: io sono la figlia, ho 30 anni, loro il doppio di me…non dovrebbero fare i genitori? mia madre mi ha preso come il sacco dell’immondizia da riempire, mio padre è un egoista…come faccio ad imparare a vivere la mia di vita?grazie in anticipo
RISPOSTA
Gentilissima,
Comprendo bene quanto Le appaia ancora difficile assaporare la Sua esistenza, ma ha già compiuto dei passi importanti. Ha cercato di rendersi autonoma e di prendere le distanze da tutto il dolore che sembra aver pervaso la Sua famiglia da tempo, e fatto di non poca importanza, ora, forse aiutata dal anche dal confronto con Sua sorella, sta finalmente cercando aiuto per sé.
Conosco le storie e i vissuti di chi è figlio o figlia di chi soffre di dipendenza: so che si sente il dolore, l’angoscia, la rabbia, la frustrazione di entrambi i genitori, si tende a parteggiare, a difendere colui (o nel Suo caso colei) che pare essere vittima della situazione e a diventare giudici di chi sembra “non voler smettere” di creare tanto dolore. E quando ci si scopre a “rimproverare” (e qui troviamo già un’inversione dei ruoli genitore/figlio) quello che “si comporta male” e sembra di essere quasi riusciti a salvare l’altro genitore che si era tanto lamentato, ecco che tutto torna come prima e ci si sente traditi, impotenti, addolorati. Allora si ha voglia di dire “basta, arrangiatevi” ma poco dopo, e Lei lo descrive molto bene, non si riesce a farlo, perché si sente di dover intervenire, che sarebbe da egoisti non aiutarli (forse ha pensato che anche Sua sorella lo sia stata) che non si possa fregarsene perché si vuole loro bene, dimenticando che voler bene non significa dover per forza partecipare a dinamiche patologiche.
Abbia fiducia, è davvero possibile riprendere la propria in mano e ritrovare serenità riuscendo a distaccarsi con amore (e ciò significa che potrà andare a trovare i Suoi genitori senza fare il cestino delle immondizie o il salvadanaio – ricordiamoci che aiutare una persona con un problema di gioco d’azzardo patologico senza chiedere che inizi un trattamento significa comprargli la prossima “dose”).
Anche nei casi in cui il genitore afflitto dalla dipendenza non è ancora consapevole di dover smettere per poter stare finalmente bene, anche nei casi in cui l’altro genitore non riesce a comprendere la malattia e a prendersi cura di se stesso anziché rimanere ossessionato dal controllo dell’altro, i figli possono essere aiutati a districarsi da tutto questo male e non sentirsi più così responsabili.
Lei è figlia e non è condannata a dover rimanere angosciata ed arrabbiata, e legata al problema che papá esprime con il gioco e i tentativi di suicidio e mamma con altrettanta angoscia e rabbia che tenta di alleviare sfogandosi con Lei. Anzi, paradossalmente, proprio rimanendo intrappolata in questa dinamica disfunzionale e malata, inconsapevolmente, Lei sta partecipando a questo problema.
Quando si sentirà libera, ed avrà recuperato il Suo ruolo di figlia, potrà parlare con il cuore al Suo papá e raccontargli quanto sia importante riuscire a chiedere aiuto.
Forse a volte spera ancora di trovare qualcuno che La aiuti a salvare il Suo papà, invece sono convinta che sia venuto per Lei il momento di chiedere aiuto per sé ad uno psicoterapeuta (meglio se cognitivo comportamentale e non a digiuno di dipendenze, il percorso potrebbe durare qualche mese) che La affianchi verso l’uscita da questa situazione di Co-dipendenza che la costringe a sentire di dover salvare tutta la Sua famiglia (finora non c’è l’ha fatta semplicente perché il Suo tentativo é anch’esso patologico, compulsivo, come la ricerca di vincita del Suo papà ed il continuo fidarsi e rimanere delusa e arrabbiata della Sua mamma, in un continuo circolo vizioso, in una storia che si ripete)
Così Le sarà possibile vivere più serenamente, accettando e comprendendo i limiti ed il dolore dei Suoi genitori.
Inoltre, una buona psicoterapia Le eviterà di riprodurre, senza rendersene conto, lo stesso scenario relazionale disfunzionale con la persona della Sua vita..
Le auguro di prendersi cura di sé e di riuscire a permettere ad un mio, o una mia, collega di darLe una mano in questo nuovo periodo della Sua vita.
In bocca al lupo
Dott.ssa Serena Valorzi