Ureaplasma parvum

    Pubblicato il: 11 Aprile 2018 Aggiornato il: 11 Aprile 2018

    DOMANDA

    Egregio dottor Camporese, Sono una donna di 46 anni con ciclo mestruale ancora regolare. Per circa 18 anni ho combattuto con un’ infezione da candida che nonostante le svariate cure antimicotiche continuava a recidivare. Oggi che finalmente grazie a una cura combinata tra medicina tradizionale e omeopatia sembra finalmente essere terminato questo incubo purtroppo mi trovo dinanzi ad una nuovo problema. Nel mese di luglio del 2017 ritiro la PCR e Risulta positiva per la prima volta all’ureaplasma parvum che trattato con veclam e cleocin nella PCR successiva risulta negativo. Dalla visita di controllo però il ginecologo riscontra due cisti di Naboth e secchezza vaginale. A marzo ripetiamo la PCR e risulta nuovamente positiva al ureaplasma Proviamo con una cura a base di polybactum e prima di ripetere la PCR Il ginecologo misura il Ph vaginale che è di 4.1 e dopo il prelievo decide di svuolare le cisti. La PCR è ancora positiva quindi il ginecologo consiglia una cura di 10 giorni a base di levofloxacina e Deltavagin e ulteriori 3 cicli di fermenti lattici. Ora giustamente la mia paura è quella di ricadere nell’incubo della Candida lequindi le chiedo un consiglio per sapere se anche secondo lei è necessaria la cura antibiotica o se esiste qualche cura alternativa o se ancora non devo fare assolutamente nulla facendo parte l’ureaplasma parvum della normale flora vaginale La ringrazio e la saluto cordialmente

    RISPOSTA

    Come ho già avuto modo di rispondere a molti altri quesiti analoghi al suo, di cui troverà riscontro su questo sito, Ureaplasma è un microrganismo che colonizza normalmente l’ambiente vaginale di molte donne assolutamente asintomatiche. Il suo riscontro occasionale, perciò, non richiede alcuna terapia. Molto probabilmente, nonostante il ciclo regolare, lei si sta avvicinando a una fase premenopausale, che inizia a modificare l’assetto dell’ecosistema vaginale. La secchezza vaginale di qualche tempo fa ne è un’evidenza piuttosto significativa. Perciò, al momento eviterei qualunque ulteriore terapia antibiotica, che andrebbe solo ad impattare negativamente sulla quota lattobacillare residua.