blocco cardìaco


    Aggiornato il 14 Dicembre 2015

    condizione patologica in cui la diffusione dell’eccitazione cardiaca nel sistema di conduzione del cuore subisce un’interruzione o un rallentamento (vedi anche aritmia ).

     

    Tipi di blocco cardiaco

    Nel blocco senoatriale l’impulso, normalmente generato dalle cellule del nodo senoatriale, non riesce a diffondersi alla muscolatura atriale. Le cellule dell’atrio sono però in grado di contrarsi spontaneamente, a una frequenza di 50-60 battiti al minuto, e di propagare lo stimolo al resto del muscolo cardiaco; il che determinerà bradicardia con sintomatologia scarsa (vertigini, ridotta tolleranza allo sforzo). Nel blocco atrioventricolare, invece, lo stimolo non supera l’atrio (blocco di III grado) oppure, nelle due forme dette di I e II grado, presenta un rallentamento rispettivamente costante o progressivo, fino a che si verifica una pausa nella contrazione dei ventricoli. Nel blocco di III grado tocca al nodo atrioventricolare generare l’impulso che viene condotto ai ventricoli con una frequenza di circa 50 battiti al minuto: il risultato sarà quindi una bradicardia più accentuata; qualora non subentri il nodo atrioventricolare, i ventricoli si contraggono secondo la propria intrinseca frequenza di scarica, intorno ai 30 battiti al minuto, troppo bassa per garantire la funzione cardiaca. È quindi inevitabile la comparsa di vertigini, svenimenti fino alla sindrome di Morgagni-Adams-Stokes. Nel blocco di branca, destra o sinistra, la conduzione dell’impulso trasmesso attraverso il fascio di His è alterata a livello di una delle sue due branche (destra o sinistra). In questo caso lo stimolo deve passare attraverso la muscolatura ventricolare, più lenta a condurre rispetto al sistema specializzato: ne consegue un ritardo di attivazione di un ventricolo rispetto all’altro, poco importante dal punto di vista dei sintomi.

     

    Diagnosi e terapia

    I blocchi cardìaci sono quasi sempre acquisiti, e dovuti ad arteriosclerosi, a processi infettivi (reumatismo articolare acuto) o degenerativi, responsabili di lesioni a carico del sistema di conduzione. Non infrequentemente sono i farmaci antiaritmici stessi, quali verapamil, amiodarone e betabloccanti, a dare origine a un blocco atrioventricolare. La diagnosi dei blocchi cardìaci è solitamente agevole, in base ad alterazioni del tracciato elettrocardiografico. I blocchi cardìaci asintomatici non richiedono terapia, anche se è consigliabile controllare l’eventuale malattia cardiaca associata. Nei casi più gravi di blocco atrioventricolare può rendersi necessario l’impianto di un pace-maker.