DOMANDA
Soffro di anoressia da più di un anno….ho molto paura dello psicologo e col tempo mi sono aggravata sempre più.
Faccio una vita molto movimentata tra studio, danza, scuola e mi piacerebbe sapere come , secondo lei, e sopratutto cosa potrei iniziare a mangiare pian piano.
RISPOSTA
Salve, innanzi tutto l’ammettere e individuare di soffrire di questo disturbo alimentare è sicuramente il primo passo verso la strada della guarigione.Solitamente le migliori terapie volte alla rieducazione alimentare radicale come in questo caso dovrebbero essere eseguite con il supporto di un team multidisciplinare composto dal nutrizionista, dallo psicologo/psicoterapeuta e nei casi più gravi dell’internista.
Questo perchè la rieducazione deve avvenire su più fronti e nutrire il corpo senza analizzare quelle che sono state le cause scatenanti che hanno portato ad uno stato di patologia, può non portare alla guarigione del soggetto nel tempo.
Si definisce un soggetto affetto da anoressia nervosa se il suo indice di massa corporea è inferiore a 17,5 kg/m2 (i valori normali nella popolazione caucasica sono compresi tra 20 e 25 kg/m2)
E’ importante saper riconoscere il tipo di patologia in quanto si possono distinguere due sottotipi di anoressia nervosa: quella di tipo restrittivo e quella di tipo bulimico. Nel primo caso si assiste ad un ostinato rifiuto del cibo, nel secondo, invece, ci sono violente crisi bulimiche seguite da comportamenti compensatori associati a periodi di totale digiuno. La crisi bulimica del paziente con anoressia nervosa si caratterizza, rispetto a quella classica della bulimia nervosa, per l’assunzione anche di modeste quantità di cibo che vengono percepite comunque come eccessive. In entrambi i casi vi è un marcato sottopeso e un’altissima presenza di complicanze.
Lo stato di cronica malnutrizione conseguente alla persistente o inadeguata assunzione di tutti i nutrienti viene definita “marasma” e consente comunque all’organismo di instaurare una serie di reazioni biologiche di tipo adattativo, che permettono la riduzione significativa del dispendio energetico (quindi del fabbisogno sia di energia totale sia di proteine); è proprio questa capacità adattativa che rende i pazienti in grado di sopravvivere a lungo. Alla malnutrizione proteico-energetica si contrappone un tipo di malnutrizione legata alla carenza assoluta (per non assunzione) o relativa (per elevato catabolismo da traumi, ustioni, sepsi gravi, ecc.) di proteine.
Una volta quindi identificato, grazie al supporto del team medico il tipo di disturbo che l’affligge, è il momento di passare alla graduale reintroduzione degli alimenti.
Il paziente denutrito ha un fabbisogno energetico e di nutrienti ridotto proprio per le ragioni adattative prima menzionate, inoltre presenta funzioni biologiche rallentate. Tutto questo si contrappone alla fisiologica necessità di assumere sostanze che garantiscano la ripresa delle attività biologiche. Per evitare l’insorgenza della così detta “sindrome da rialimentazione” (refeeding syndrome ) è fondamentale che i nutrienti siano somministrati nelle giuste proporzioni. L’apporto sia di macronutrienti sia di micronutrienti deve essere ben bilanciato, partendo da alimenti facilmente diin modo da garantire energia ma anche il corretto funzionamento delle attività enzimatiche. Nella fase di rialimentazione aumenta in particolare il fabbisogno di ioni intracellulari che richiederanno particolari supplementazioni e un adeguato monitoraggio, per questo la rialimentazione deve avvenire sotto stretto controllo da parte dello specialista.
La sindrome da rialimentazione non va trascurata e si può presentare quando viene effettuato un intervento nutrizionale intensivo in soggetti con malnutrizione proteico-energetica, soprattutto se tale situazione si protrae da tempo.
Saluti