sigla di Acquired Immuno-Deficiency Syndrome, sindrome da immunodeficienza acquisita (da cui anche la sigla SIDA, meno usata). Malattia in cui è implicato il virus HIV-1, retrovirus capace di infettare selettivamente i linfociti T, i macrofagi e le cellule dendritiche che esprimono un particolare recettore virale. Una reazione di tipo autoimmune sommata all’effetto del virus fa sì che le cellule infettate vengano distrutte, con conseguente scompaginamento di tutto il sistema immunitario (immunodeficienza). I soggetti infettati che contraggono la malattia diventano suscettibili a numerose infezioni, specialmente fungine (candidosi, aspergillosi, criptococcosi), protozoarie (toxoplasmosi, pneumocistosi) e virali (infezione da Herpes e Cytomegalovirus); anche la suscettibilità a particolari tipi di tumori (sarcoma di Kaposi, linfoma non-Hodgkin) è notevolmente aumentata.
Diffusione e «mappa» dell’AIDS
I primi casi di malattia (probabilmente originaria dell’Africa centrale) sono stati segnalati fra il 1979 e il 1981 ad Haiti e nelle grandi città degli Stati Uniti, in modo più evidente nelle comunità di omosessuali. Attualmente la malattia è diffusa in quasi tutti i Paesi europei, in Africa, negli Stati Uniti e nell’America Meridionale, mentre è ancora rara in Asia. I gruppi cosiddetti «a rischio» sono le persone omosessuali, i tossicodipendenti e coloro che, eterosessuali o bisessuali, hanno frequenti rapporti con estranei, dei quali non sanno se siano sieropositivi. In Italia la fascia più colpita è quella dei tossicodipendenti a causa della diffusa usanza di scambiarsi la siringa. Il contagio avviene mediante il contatto con i liquidi organici (in particolare sangue, sperma, secrezioni vaginali) di soggetti portatori del virus. In passato un certo numero di casi di malattia sono derivati da trasfusione o infusione di emoderivati infetti: da alcuni anni tutto il sangue impiegato per trasfusioni e per preparare emoderivati è rigidamente controllato: non dovrebbe perciò più esistere il rischio di contagio per questa via. Sono ancora numerosi invece i casi di AIDS trasmesso da madre sieropositiva al figlio durante la gravidanza. I comportamenti che espongono a rischio di contagio e quelli che lo escludono sono riassunti nello schema.
Diagnosi e progressione della malattia
La diagnosi viene effettuata mediante un test sul siero che ricerca gli anticorpi antivirus prodotti dall’individuo: la presenza di tali anticorpi viene definita sieropositività. In caso di riscontro di test ELISA positivo, in alcuni laboratori specializzati si effettuano test più sofisticati (Western blot, immunofluorescenza, radioimmunoprecipitazione) per avere diagnosi di certezza. È anche possibile determinare la carica virale presente nel sangue (il numero delle “copie” virali) attraverso la PCR (Polymerase Chain Reaction). La semplice sieropositività non è indice di malattia in atto, ma solo di avvenuto contagio; questa fase può durare anche molti anni poiché il virus, che appartiene alla famiglia dei Lentivirus, impiega molto tempo a determinare i danni all’organismo. La fase successiva è detta LAS (linfoadenopatia sistemica) ed è caratterizzata dall’ingrossamento di più stazioni linfonodali senza altri sintomi clinici. Segue la fase di AIDS conclamato con graduale indebolimento, febbre e successive infezioni opportunistiche.
Terapia e contagiosità
Il riscontro dell’avvenuto contagio è necessario valutare la carica virale presente (attraverso la PCR). Questo perché oltre la carica-soglia di 30.000 copie virali, è utile iniziare immediatamente la terapia antivirale: recenti studi infatti hanno dimostrato che la terapia precoce è in grado di ritardare significativamente l’insorgenza della fase conclamata dell’AIDS. Sono disponibili farmaci antiretrovirali e inibitori delle proteasi dotati di buona efficacia e tollerabilità. Tuttavia la terapia attualmente non è ancora in grado di guarire dalla malattia, perciò la principale arma per controllare l’epidemia è la prevenzione. Non è ancora disponibile un vaccino a causa della velocità con cui il virus è in grado di cambiare costituenti; quindi la prevenzione è affidata alla eliminazione dei rischi di contagio, evitando lo scambio di siringhe, usando il profilattico nei rapporti sessuali, evitando in genere il contatto con i liquidi biologici di soggetti estranei. Poiché il virus è molto labile nell’ambiente non è possibile il contagio mediante oggetti che non siano aghi da siringa, e mediante semplici rapporti sociali con soggetti sieropositivi o malati. I problemi sociali messi in evidenza da questa sindrome vanno affrontati con serietà, ma anche con serenità, evitando di demonizzare quanti ne sono affetti o risultano sieropositivi, o la sessualità in generale, così come è accaduto in passato in relazione ad altre malattie a trasmissione sessuale (per esempio, la sifilide).
Terapie alternative
A livello internazionale, molti studi documentano nell’AIDS una frequenza di ricorso a terapie alternative variabile tra il 34% e il 76%. In Italia è stato valutato che il 26% dei soggetti affetti da HIV ha fatto ricorso a terapie non convenzionali. I trattamenti più utilizzati sono rappresentati dalle terapie multivitaminiche, dall’omeopatia, dalla nutrizione e dalla fitoterapia. i rimedi di tipo erboristico impiegati dai pazienti con AIDS vanno ricordati:
– la tricosantina (o Composto Q), una proteina presente nella radice del cetriolo cinese;
– l’ipericina (sostanza contenuta nell’iperico), utilizzata anche nel trattamento della depressione;
– gli estratti di vischio (Viscum album), frequentemente impiegati anche nella terapia non convenzionale dei tumori.
È importante tenere distinte le terapie alternative (potenzialmente dannose) dagli interventi complementari di supporto (potenzialmente benefici, se associati a trattamenti standard di provata efficacia).