Gentile professor Pallanti,
sono un uomo di 34 anni. Io soffro, molto probabilmente, di fobia sociale. Per questo “male”, vivo una vita isolata e piena di paure. Inoltre, sono senza lavoro. A causa di tale problema, ho pensato di rivolgermi ad uno psichiatra però, c’è qualcosa che ancora mi frena. Una delle mie maggiori paure è questa: che il farmaco (presumo la paroxetina), mi induca a compiere azioni che non attuo sia per freni morali sia perché contrari alla mia volontà. Tenga presente che per non compiere tali atti “immorali” richiedo spesso il controllo da parte di una persona di fiducia. Dunque, come può ben intendere, anche l’ossessione di ciò che potrei fare io, oltre al timore degli altri, mi affligge. La mia domanda, probabilmente sciocca, sulla pericolosità del farmaco nasce dall’idea che i suoi principi attivi allenterebbero i miei freni inibitori facendo anche svanire certe forme ossessive per le quali trovo, comunque, rassicurazioni. Temo di non avere speranze. Ho paura che, tra qualche anno, mi ritroverò solo, senza lavoro a chiedere l’elemosina. È il mio incubo in una società come questa, spietata, sempre pronta a giudicare e a scartare chi non ha un rispettabile curriculum. Io vorrei smettere di essere un hikikomori e, anche grazie ad una certificazione psichiatrica, vorrei entrare nel mondo del lavoro. Ma i tempi sono bui!
Scusandomi per il disturbo, e aspettando una Sua gradita risposta, La saluto molto cordialmente.
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